Mancata consegna del bagaglio nel trasporto aereo: danno da ritardo o danno da vacanza rovinata ?

 

[Nota a Giudice di pace di Mestre 22 novembre 2004]

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La sentenza che si annota rappresenta un importante riconoscimento della risarcibilità del cosiddetto danno da «patita mancata vacanza» nel caso in cui al turista-passeggero venga riconsegnato in ritardo il proprio bagaglio.

 

Il giudice di pace di Mestre, svolgendo un ragionamento lineare e chiaro, esprime il supporto giuridico della sua decisione spiegando i punti fondamentali attraverso i quali giunge alle proprie conclusioni.

 

Infatti, dopo aver affermato la propria competenza territoriale in base alla regola generale di cui all’art. 20 c.p.c. e dopo avere ritenuto pacifici sia l’esistenza del rapporto principale (contratto di trasporto) sia la mancata (rectius ritardata) consegna del bagaglio da parte del vettore, il giudice passa ad esaminare i punti controversi della questione, e cioè: a) la disciplina applicabile al rapporto; b) la qualificazione della responsabilità per ritardo nella riconsegna del bagaglio e per i disagi patiti dal passeggero; c) il limite del risarcimento.

 

Sulla prima questione, ossia la normativa cui riportare la fattispecie, il giudicante ritiene esattamente che sia applicabile la normativa del codice della navigazione, in particolare gli artt. 945, 951 e 952.

Infatti, nonostante la disciplina odierna sul trasporto aereo di passeggeri, bagagli e merci, è quella oramai prevista dalla Convenzione di Montreal del 1999, la quale si applica anche al trasporto interno, oltre che a quello comunitario ed internazionale, in virtù del  reg. (CE) n. 2027/97 come modificato dal reg. (CE) n. 889/02, alla vicenda de qua dovevasi ancora applicare la normativa del codice della navigazione in quanto all’epoca dei fatti (accaduti nel settembre del 2002) la disciplina uniforme non era ancora entrata in vigore né sul piano internazionale né comunitario ed interno. 

 

Tuttavia, egli cade in errore quando afferma che la disciplina della Convenzione di Montreal del 1999 sarebbe applicabile nel nostro ordinamento a partire dal 4 novembre 2003; questa è infatti la data cui deve farsi risalire l’inizio dell’efficacia della suddetta disciplina uniforme solo sul piano internazionale, e non anche in quello interno ([1]).

 

Secondo la normativa applicabile, quella appunto del codice della navigazione, la responsabilità del vettore per ritardo è una responsabilità presunta che comporta a carico dello stesso l’onere della prova di aver adottato tutte le misure necessarie e possibili per evitare il danno.

 

Nel caso di specie la compagnia aerea, limitandosi ad affermare che nel periodo considerato a causa dell’intensificarsi del traffico aereo e degli spostamenti è normale che si crei una situazione di maggiori disagi, quasi a dire che i disguidi sono la regola in tale periodo, non ha affatto fornito la prova di avere adottato tutte le misure possibili per evitare lo smarrimento temporaneo del bagaglio dell’attrice.

 

Ben diverso sarebbe stato il caso in cui la convenuta avesse allegato ai fatti di causa la prova documentata dell’adozione da parte della società di navigazione aerea, durante i periodi in cui si verifica un prevedibile intensificarsi degli spostamenti ed un conseguente aumento dei bagagli da movimentare, di misure ed azioni specifiche ad evitare il verificarsi di smarrimenti e/o ritardi nella consegna dei bagagli ai propri passeggeri.

 

Dunque, la prova dell’impossibilità di impedire lo smarrimento ed il conseguente ritardo nella consegna del bagaglio non è stata raggiunta, facendo permanere a carico della compagnia aerea la presunzione della sua responsabilità.

 

Esatta appare essere anche l’affermazione del giudicante secondo cui al caso di specie non si potrebbe applicare il limite di € 15,49 così come previsto dall’art. 952 cod. nav. dato che essendo tale limite previsto a contenere il rischio in capo al vettore, sarebbe onere di questi al momento dell’imbarco l’accertamento e la descrizione del peso del bagaglio registrato.

 

Infatti, accertata la mancata prova da parte del vettore del peso effettivo del bagaglio andato smarrito, non avendo lo stesso neppure allegato elementi documentali relativi per esempio agli standards stabiliti dalle compagnie aeree sui voli nazionali circa le dimensioni ed il peso del bagaglio trasportabile in stiva e vigendo nel processo civile il c.d. principio dispositivo in virtù del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, il giudice di pace di Mestre si è trovato anche nell’impossibilità di risalire mediante una «presunzione semplice» al peso del bagaglio smarrito per poi determinarne aritmeticamente il valore.

 

A sommesso avviso di chi scrive meno convincente appare essere, invece, per come è stata impostata dal giudice di pace, l’affermazione secondo cui non si potrebbe dare applicazione al limite risarcitorio di € 52,00 previsto dalle condizioni generali di contratto del vettore, in quanto trattasi di clausola vessatoria ex art. 1469 bis, terzo comma, n. 2, c.c. ([2]).

 

Infatti, dobbiamo tener conto che si sta discutendo di un ritardo nella consegna del bagaglio e non di uno smarrimento dello stesso, ragion per cui può apparire legittima la previsione da parte del vettore di un risarcimento forfetario, anche di importo contenuto, che compensi per l’inadempimento solo parziale della sua prestazione, senza che con ciò si determini a carico del passeggero un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto tale da fare presumere la vessatorietà della relativa clausola ex art. 1469 bis c.c..

 

Inoltre, non dobbiamo dimenticare che il codice della navigazione, all’art. 948, secondo comma, contempla la derogabilità in favore del vettore del limite risarcitorio previsto dalla normativa dello stesso codice in materia di trasporto aereo nazionale di bagaglio.

 

Probabilmente – visto che il giudicante non lo specifica – la declaratoria di vessatorietà della suddetta clausola è derivata dal convincimento che vi sia nel caso di specie una sproporzione tra il prolungato ritardo nella riconsegna del bagaglio (avvenuto al termine della vacanza) e l’esiguo importo di € 52,00 previsto a titolo di indennizzo dalle condizioni generali di contratto.

 

Più convincente appare essere, invece, l’affermazione secondo cui tale clausola sarebbe inefficace ex art. 1341, secondo comma, c.c. in quanto non specificatamente approvata per iscritto. Infatti è esatto ritenere che la legittimità sostanziale ex art. 1469 bis c.c. e seguenti di una clausola contrattuale non fa sì che la stessa, essendo contenuta in condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente dal contraente più forte, non debba essere sottoposta alla particolare attenzione del contraente debole, la cui accettazione deve esplicitamente risultare dalla sua specifica sottoscrizione ([3]).

 

Stabilito quanto sopra, il giudice di pace di Mestre è passato ad analizzare quella che rappresenta la questione centrale della presente vicenda, cioè la qualificazione della responsabilità per ritardo nella riconsegna del bagaglio.

 

Il giudicante, riconoscendo il danno patito dall’attrice quale ristoro per i disagi e per il dispendio di energie e di tempo, ha implicitamente finito col qualificarlo quale danno da «patita mancata vacanza».

 

È da premettere che sui danni da cosiddetta «vacanza rovinata», quale tipologia di danno in favore del turista che ha subito disagi in occasione della vacanza, si è registrata in giurisprudenza un’evoluzione che, partendo da un iniziale disconoscimento o comunque timido riconoscimento ([4]), è giunta fino alla loro piena ammissibilità ([5]). 

 

Riconoscimento, ora, confermato anche dalla Cassazione che, con le sentenze 8827/2003 e 8828/2003 ([6]), ha svincolato la risarcibilità del danno morale dal codice penale, dando ingresso alla possibilità di ristoro dei danni morali quando dal fatto sia derivata una lesione ai valori della persona costituzionalmente garantiti.

 

La dottrina ha sostanzialmente seguito l’evoluzione giurisprudenziale confermando la natura non patrimoniale del danno da vacanza rovinata e la sua risarcibilità anche fuori dai casi in cui il fatto costituisca illecito penale ([7]).

 

Fatto questo breve excursus sull’evoluzione del danno da vacanza rovinata sia in giurisprudenza che in dottrina, dobbiamo subito evidenziare tuttavia che il caso risolto dal giudice di pace di Mestre sarebbe meglio riconducibile non alla fattispecie legale tipica da cui possono scaturire i danni da vacanza rovinata, bensì alla più generica situazione prevista dal diritto comune e dal codice della navigazione come «ritardo».

 

In altri termini,  il danno subito dagli attori non andrebbe catalogato quale danno morale da vacanza rovinata, ma quale danno da inadempimento contrattuale tipico, cioè da ritardo.

 

Questa considerazione potrebbe essere avvalorata dal fatto che, previa la distinzione tra contratto di trasporto e contratto di organizzazione di viaggio turistico, l’appiglio giuridico che ha consentito alla giurisprudenza di aggirare il limite alla risarcibilità dei danni morali imposto dall’art. 2059 c.c. trovasi in una direttiva comunitaria ed in una legge della Repubblica ([8]) che disciplinano «i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso». 

 

Ed infatti, gli artt. 1 e 2 della direttiva, stabilendo che la stessa intende disciplinare la materia dei viaggi, le vacanze e i giri turistici «tutto compreso» venduti negli Stati Membri e definendo il viaggio tutto compreso (detto anche «pacchetto turistico») come la vendita a prezzo forfetario di una combinazione di almeno due servizi fra trasporto, alloggio ed altri servizi turistici non accessori ai primi due con durata superiore alle ventiquattro ore o comunque di una notte, specificano e delimitano in maniera molto chiara l’oggetto della propria disciplina, il quale risulta essere tutt’altra cosa rispetto al contratto di trasporto aereo.

 

Quindi, la validità dell’orientamento giurisprudenziale odierno circa l’ammissibilità dei danni morali da vacanza rovinata andrebbe riferito solo a quei casi in cui il turista-viaggiatore abbia stipulato con l’organizzatore o tour operator un contratto di viaggio organizzato, in quanto la disposizione di legge che consente il risarcimento del danno morale nel rispetto dei limiti imposti dall’art. 2059 si troverebbe in una direttiva che non disciplina il contratto di trasporto aereo, bensì il più articolato contratto di vendita di pacchetti turistici.     

 

Né si potrebbe ricondurre la fattispecie in esame ai casi indicati dalle due summenzionate recenti pronunce della Cassazione ([9]) visto che le stesse si riferiscono ai casi in cui dal fatto derivino danni relativi a lesioni di interessi e valori inerenti la persona costituzionalmente tutelati e certamente il ritardo nella consegna del bagaglio non rappresenta un fatto tale da arrecare danno a siffatti valori.

 

Detto ciò, forse sarebbe stato giuridicamente più corretto se il giudice di pace di Mestre, anziché qualificare il risarcimento del danno riconosciuto all’attrice quale “ristoro dei disagi e del dispendio di tempo e di energie provocati dall’inadempimento della convenuta”, così definendolo in altre parole quale danno da vacanza rovinata, avesse proceduto a riconoscere un danno da ritardo.

 

Infatti, partendo dalla qualificazione giuridica del fatto sottoposto al giudice possiamo tranquillamente ricondurlo all’inadempimento contrattuale ex art 1218 c.c., in particolare alla fattispecie del ritardo nella consegna del bagaglio registrato da parte del vettore aereo ex artt. 945, 951 e 952 cod. nav..

 

In tal modo, vertendo in ambito di azione contrattuale per danni da ritardo, non si sarebbe incorsi nell’equivoco di dover ammettere un danno da vacanza rovinata, inquadrabile nei danni morali  ex art. 2059 c.c., così incorrendo nei limiti dallo stesso prescritti e di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.  

 

Seguendo tale ragionamento, il giudicante avrebbe potuto riconoscere tranquillamente il danno patrimoniale da inadempimento contrattuale per ritardo e, pur non individuando un concreto danno «emergente» visto che non si è realizzata una diminuzione patrimoniale dell’istante per le spese provate, in virtù di ciò avrebbe invece potuto ammettere equitativamente il rimborso di quelle spese non documentate e quindi non determinate (quali i trasferimenti da e per l'aeroporto di Lamezia T. e le varie telefonate che ha dovuto fare per i solleciti) ricorrendo all’applicazione dell’art. 1226 c.c..

 

A dirla tutta, è avvalorabile l’ipotesi per cui anche le spese sostenute per l’acquisto degli indumenti ed altri accessori avrebbero potuto essere rimborsate, visto che non è pienamente condivisibile il ragionamento del giudicante quando afferma che non vi sarebbe stata una effettiva diminuzione patrimoniale in quanto il bagaglio comunque sarebbe stato restituito e le spese sostenute avrebbero riguardato l’acquisto di beni pur sempre rimasti nella disponibilità della danneggiata.

 

Così impostando il giudice di pace di Mestre non sofferma la propria attenzione sul fatto che il danno di cui si discute è un danno da ritardo; il ché presuppone che comunque il bagaglio è stato poi riconsegnato (in ritardo!), altrimenti si sarebbe avuta la fattispecie diversa del danno per «perdita» del bagaglio. Il vizio logico in cui sarebbe incorso il giudice sarebbe quello di ritenere il danno come non sofferto in quanto il bagaglio è stato poi restituito, non considerando che il nostro ordinamento prevede entrambe le fattispecie di danno (da ritardo e da perdita) dando così riconoscimento al risarcimento di ambedue.

 

In altre parole, il ritardo non è grave come la perdita del bagaglio, ma anche il ritardo deve essere risarcito in quanto arreca anch’esso un danno al creditore della prestazione. Il ritardo è infatti previsto, quale evento che causa un danno risarcibile, sia nella disciplina generale dell’inadempimento (artt. 1218 e 1223 c.c.), sia dalla disciplina speciale dell’inadempimento nel contratto di trasporto aereo di bagaglio (artt. 945 e 951 cod. nav.; art. 19 Convenzione di Varsavia 1929; art. 22 Convenzione di Montreal 1999).

 

Concludendo, il danno c’è stato, ma anziché trattarsi di danno extracontrattuale (comunemente denominato danno da vacanza rovinata quando ci si riferisce a rapporti fra turisti e agenzie di viaggi o tour operator), trattasi di danno contrattuale da ritardo risarcibile secondo la disciplina per esso prevista dal codice della navigazione in particolare e dal codice civile in generale.

 

Avv. Eduardo Gregoraci

 



([1]) Al riguardo si tenga presente che il 5 settembre 2003 gli Stati Uniti hanno depositato il trentesimo strumento di ratifica. Ciò ha fatto si che la Convenzione raggiungesse il numero minimo di firme previsto perché potesse acquistare efficacia. Quindi sessanta giorni dopo, cioè il 4 novembre 2003, la Convenzione di Montreal è ufficialmente entrata in vigore sul piano internazionale. Per quel che riguarda l’Italia, la Convenzione ha efficacia vincolante a partire dal 28 giugno 2004; cioè il sessantesimo giorno successivo al deposito a Bruxelles della legge di ratifica (Legge 10 gennaio 2004, n. 12), avvenuto il 29 aprile 2004. Difatti, l’art. 53, paragrafo 7, della Convenzione di Montreal recita «Nei confronti di ogni altro stato o di ogni altra Organizzazione di integrazione economica regionale, la presente Convenzione entrerà in vigore il sessantesimo giorno successivo alla data del deposito dello strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione»; a sua volta l’art. 8, comma 2, del reg. (CE) n. 889/02 dice «Esso si applica a decorrere dalla data della sua entrata in vigore o dalla data di entrata in vigore della convenzione di Montreal, a seconda di quale data sia successiva». Si noti che l’Italia ha depositato lo strumento di ratifica insieme ad altri dodici Stati membri della Comunità europea (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Svezia), oltre che alla Comunità stessa ed alla Norvegia.

([2]) Per le problematiche relative ai rapporti tra gli artt. 1341 e 1469 bis c.c. e le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto si vedano: TULLIO, Condizioni generali di contratto e clausole vessatorie nella contrattualistica dei trasporti, in Dir. trasp., 1995, 734 ss.; ROMANELLI-TULLIO, Introduzione, in Spunti di studio su: Le condizioni generali del trasporto aereo di persone, a cura di ROMANELLI-TULLIO, Cagliari, 1997, 9; BOCCHESE, Problemi di “conoscibilità” e di “esclusione” delle clausole vessatorie ed abusive nelle condizioni generali di contratto e di trasporto Alitalia, op. ult. cit., 159; BUSTI, Contratto di trasporto aereo, in Trattato di diritto civile e commerciale, vol. XXVI, t. 3; FOGLIANI, Le condizioni generali di contratto di trasporto aereo, in Il nuovo diritto aeronautico, Milano, 2002, 677 ss. Sul trasporto ferroviario si vedano: MASTRANDREA, Sull’applicabilità della tutela inibitoria cautelare d’urgenza, prevista dalla nuova normativa sui contratti del consumatore, al diritto dei viaggiatori al rispetto della clausole dell’orario ferroviario, in Dir. trasp., 1998, 161 ss.; COLAFIGLI, Le condizioni generali di trasporto di persone delle ferrovie dello stato, in Dir. trasp., 1999, 188 ss.; TIGANO, Concessione per l’esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico, contratto di servizio pubblico, contratto di programma: profili strutturali, in Il trasporto ferroviario nell’Europa del 2000, in Atti del Convegno di Marispica, Messina, 1999, 215 ss.; PILLININI, Il regime dei reclami e delle azioni nei confronti del vettore ferroviario, ivi, 407 s. Per il trasporto marittimo cfr.: LUMINOSO, Le condizioni generali dei vettori di trasporto marittimo di persone, in Resp. civ. e prev., n. 4-5 del 2000, 868 ss.; CESARO, Contratto di trasporto marittimo e clausole vessatorie, in Contratto e impresa Europa, 1997, 496; BIANCA, Clausole abusive nel contratto di trasporto marittimo di passeggeri e azione inibitoria ex art. 1469-sexies c.c., in Dir. trasp., 1998, 179; POZZI, Trasporto marittimo e clausole vessatorie, in I contratti, nota a Trib. Palermo, sez. III, 3 febbraio 1999. Più in generale si vedano anche: Le condizioni generali di contratto, a cura di Bianca, voll. I e II, Milano, 1981; Le condizioni generali di contratto nella giurisprudenza, a cura di Cesaro, vol. I, Padova, 1989, e vol. II, Padova, 1993; MORELLO, Condizioni generali di contratto (voce) in Dig. discipl. priv., sez. civ., vol III, Torino, 1998, 335.

([3]) A parte la considerazione che le due norme possono riguardare ambiti di applicazione diversi (l’art. 1469 bis c.c. concerne i contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore a prescindere dal fatto che il contratto sia stato concluso in forma seriale o mediante modulari e formulari, mentre l’art. 1341 c.c. riguarda tutti i contratti, anche quelli non conclusi tra professionista e consumatore, le cui condizioni generali di contratto siano state unilateralmente predisposte da uno solo dei contraenti), è importante tener presente che l’art. 1469 bis c.c. consente di esplicare un controllo «sostanziale» sulla clausola contrattuale, tenuto conto che la ratio della norma è quella di consentire il vaglio di quelle disposizioni negoziali che a causa del loro contenuto determinerebbero uno squilibrio dei diritti e degli obblighi a carico del consumatore. Invece, l’art. 1341 c.c. pone in essere un controllo «formale» della clausola, visto che il suo scopo è quello di far sì che l’altro contraente, quello cioè che non ha predisposto le condizioni generali di contratto, sia posto in grado di avere effettiva conoscenza di quelle clausole ritenute dal legislatore più pericolose e lesive della tutela dei suoi diritti.

([4]) Si vedano: Corte di Appello di Catanzaro 30 giugno 1953, in Rep. foro it., voce “responsabilità civile”, n. 406 c.p.; Tribunale di Firenze 20 gennaio 1954, in Giur. It., 1954, I, 2, 481; Pretura di Roma 31 marzo 1973, in Nuovo dir., 1973, 601; Corte di Appello di Milano 21 giugno 1988, in Dir. trasp., 1990, I, 258; Tribunale di Venezia 24 settembre 2000 n. 2169, in Guida ai contrattiIl Sole 24 ore, Cd-Rom n. 2, 2004.

([5]) Alcuni giudici riconoscevano i danni per i disagi patiti dal turista senza individuare uno specifico riferimento normativo (cfr. Tribunale di Torino 8 novembre 1996, in Resp. Civ. e Prev., 1997, 8\9). Altri invece individuavano l’appiglio normativo nell’art. 13 della Convenzione di Bruxelles del 23 aprile 1970 (CCV) sul contratto di viaggio, che prevede la responsabilità del tour operator per qualunque pregiudizio subito dal viaggiatore. Altri ancora lo qualificavano come danno esistenziale (cfr. Giudice di Pace di Verona 16 marzo 2000, in Giur. It., 2001, I, 1158), oppure quale danno biologico, intendendo la sofferenza patita dal turista come un pregiudizio alla salute della persona (cfr. Giudice di Pace di Siracusa 26 marzo 1999, in Giust. Civ., 2001, I, 205). Al riguardo si veda anche SCAVONETTO, Risarcibilità del danno morale da vacanza rovinata, in Avvocato Ventiquattrore, 1/2004, 21.

([6])  Precedute dalle sentenze n. 7281/2003 e 7283/2003 del 12 maggio 2003 in Foro it. 2003, I, 2272, con commento di E. NAVARRETTA, Danni non patrimoniali, il dogma infranto e il nuovo diritto vivente. E ancor prima precedute dalla pronuncia della Corte di giustizia CE del 12 marzo 2002 che, intervenendo sulla normativa comunitaria relativa ai viaggi tutto compreso, ha dato una interpretazione favorevole al consumatore ritenendo che la direttiva 90/314/CE riconosca implicitamente l’esistenza di un diritto al risarcimento dei danni diversi da quelli corporali, tra cui il danno morale. Le successive pronunce della Cassazione hanno peraltro confermato il nuovo orientamento: si vedano Cassazione 7 novembre 2003, n. 16716; Cassazione 12 dicembre 2003, n. 19057; Cassazione 27 aprile 2004, n. 7980. Orientamento confermato pure dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 233 dell’11 luglio 2003 in Rass. Dir. Civ., 3/2003, con nota di PERLINGIERI, L’art. 2059 c.c. uno e bino. Una interpretazione che non convince.

([7])  Per una più completa e recente analisi del dibattito dottrinale e degli orientamenti giurisprudenziali relativi alla configurabilità sia del danno conseguente a negato o ritardato imbarco e sia del danno da vacanza rovinata, prima e dopo la pronuncia  n. 233/2003 della Consulta, si veda DI GIANDOMENICO, in Dir. Trasp. 2005, 1 ss. Si vedano anche: VACCÀ, Inadempimento contrattuale e risarcimento del danno non patrimoniale: vacanze da sogno e vacanze da incubo, in Resp. civ. prev., 1992, 263; l’autore individua negli artt. 13 e 15 CCV il fondamento normativo richiesto dall’art. 2059. MONASTERI-AMBROSIO, Responsabilità e danni nelle attività del tempo libero, 2000, 258; secondo gli autori il danno da vacanza rovinata deriverebbe dalla violazione del diritto alla salute, sancito e garantito dall’art. 2 della costituzione. SILINGARDI-MORANDI, La vendita di pacchetti turistici, Torino, 1996; per gli autori si tratterebbe invece di danno esistenziale originato dalla lesione dell’interesse del turista a trascorrere una vacanza serena. Ritiene, al contrario, che si tratti di danno patrimoniale ZENO ZENCOVICH, Il danno da vacanza rovinata, questioni tecniche e prassi applicative, in Nuov. Giur. Comm. I/1997, 879; infatti per l’autore, essendo la vacanza un bene suscettibile di valutazione economica, il danno da vacanza rovinata è un danno di natura contrattuale patrimoniale, scaturente dalla lesione di un bene non patrimoniale del turista consistente nel fine del piacere che lo stesso vuole trarre dalla vacanza.

([8]) Trattasi, come già detto, della direttiva 90/314/CE e del d.lgs. n. 111/1995 di attuazione.

([9]) Cassazione civ., sez. III, 31 maggio 2003 n. 8827 “Il danno non patrimoniale conseguente all’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.”.  Si veda anche Cassazione 31 maggio 2003 n. 8828 “Nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione, che all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo.”.