NO ALLA SOSPENSIONE DI ESECUTIVITÀ DELLA SENTENZA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO

(Nota dell’ Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  a Cassazione civile, Sez. tributaria, sentenza n. 21121 del 13.10.2010)

 

Al fluttuare della giurisprudenza tra diverse sezioni dello stesso organo giudicante, siamo, da tempo, avvezzi; ma cosa accade quando lo scontro riguarda gli orientamenti espressi dai due massimi Giudici del nostro ordinamento?

Certamente si crea un effetto destabilizzante che contribuisce a rendere - se possibile - ancora più opaco ed incerto lo scenario giuridico in cui ci troviamo ad operare e mina, ancora una volta, l’ormai scarsa fiducia che il cittadino ripone nel sistema giustizia.

Ciò detto, la questione su cui siamo chiamati a riflettere riguarda la sussistenza della facoltà, in capo al ricorrente in Cassazione, di domandare la sospensione dell’esecutività della sentenza di secondo grado impugnata.

Il punto è stato affrontato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21121/2010 pronunciata a seguito di ricorso del contribuente Caio che, dopo aver assistito al ribaltamento in appello dell’esito favorevole della sentenza di primo grado, impugna la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale e richiede alla Cassazione, con il nono motivo di ricorso, di voler disporre la “provvisoria sospensione dell’esecutività della sentenza opposta”.

Giudicati inammissibili i primi otto motivi di impugnazione, la Corte così si esprime sul punto:

la richiesta non può essere accolta, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel processo tributario è esclusa ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti dell’efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado, secondo quanto stabilito nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 49 e 68, senza che ciò determini un’ingiustificata lesione del diritto di difesa, in quanto la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi doverosa….solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, ritenendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, o al contrario, la respinga, negando in tal modo a cognizione piena la sussistenza del diritto ed il presupposto stesso dell’inibitoria”.

Secondo la Cassazione,dunque, il contribuente non ha diritto di formulare la domanda di sospensiva, sia per espressa previsione di legge (l’art. 49 del citato decreto, espressamente esclude l’applicazione al processo tributario dell’art. 337 c.p.c.), sia per coerenza di sistema: essendoci già una sentenza che pronuncia sul merito,la tutela cautelare risulterebbe inutile.

Vien da chiedersi, allora, cosa succederebbe se il terzo grado di giudizio terminasse con una pronuncia di cassazione con rinvio o con rimessione della causa al giudice di primo grado, casi in cui la pronuncia della Suprema Corte obbliga ad una revisione anche sul merito.

Seguendo il ragionamento della sentenza in commento si creerebbero i presupposti per un vulnus al principio di uguaglianza sostanziale, perché il diritto alla formulazione della sospensiva dovrebbe essere riconosciuto soltanto ai soggetti che, ad esito dell’impugnazione, ottenessero una cassazione con rinvio o una rimessione in primo grado; parimenti, l’ammissibilità della domanda di sospensiva dovrebbe essere valutata solo ex post, cioè solo alla luce ad esito del giudizio in seno al quale è formulata

Ma vi è di più.

Questo orientamento si pone in aperto contrasto con quanto insegna la Corte Costituzionale in merito nella sentenza n. 217/2010 espressa con riferimento alla una questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, D.Lgs. 546/92 rispetto agli artt. 3, 24 111 Cost.

Sostiene la Consulta che la questione è irrilevante perchè il contrasto non sussiste nemmeno, posto che, in primo luogo, la norma che regola la facoltà di richiedere la tutela sospensiva nel giudizio di cassazione non è l’art. 337, ma l’art 373 c.p.c. e, in secondo luogo, che il richiamo fatto dall’art. 337 al 373 c.p.c. non estende a quest’ultimo il regime di non applicabilità previsto per il primo dalla normativa tributaria, perché detto richiamo è contenuto nel secondo comma del 337 c.p.c. e costituisce un’eccezione alla regola generale prevista dal comma 1 del medesimo articolo e, pertanto, non soggetta ai limiti normativamente previsti per essa:

“…il contenuto normativo dell’art. 337 cod. proc. civ. (inapplicabile al processo tributario, per l’espresso disposto della norma censurata) è costituito da una regola («L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa») e da una eccezione alla stessa regola («salve le disposizioni degli artt. […] 373 […]»); c) l’art. 373 consta anch’esso, al primo comma, di una regola (primo periodo: «Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza») e di una eccezione (secondo periodo: «Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione»); d) l’inapplicabilità al processo tributario - in forza della disposizione censurata - della regola, sostanzialmente identica, contenuta nell’art. 337 cod. proc. civ. e nel primo periodo del primo comma dell’art. 373 dello stesso codice, non comporta necessariamente l’inapplicabilità al processo tributario anche delle sopraindicate “eccezioni” alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione. Da tale possibile interpretazione, conseguirebbe che il comma 1 dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 non costituisce ostacolo normativo ad applicare al processo tributario l’inibitoria cautelare di cui all’art. 373 cod. proc. civ. e che, pertanto - nella stessa prospettiva del giudice a quo, il quale ritiene l’art. 373 cod. proc. civ. astrattamente compatibile con il processo tributario -, la sollevata questione sarebbe irrilevante.”

Le motivazioni adottate dalla Corte Costituzionale sono, nella loro linearità, di un’evidenza schiacciante e, a modesto avviso di chi scrive, degne di condivisione, anche alla luce dei principi generali dell’ordinamento ed i particolare del diritto di difesa, di cui la tutela cautelare costituisce una specificazione.

1 a 0, dunque, per la Consulta.

Ma il contrasto pende ancora, perciò, palla al centro.

 

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FONTE: ALTALEX n. 3025 del 25.10.2010.

AUTORE: Avv. Marta Buffoni.