CALENDARIO DEL PROCESSO: POTERE O DOVERE?

(Nota del  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  a Tribunale Catanzaro, sez. II civile, ordinanza 03.06.2010)

 

L’art. 81-bis disp. att. c.p.c. (con il quale è stato introdotto il Calendario del processo) deve essere applicato secondo un principio di ragionevolezza, pena la sua esposizione a censure di legittimità costituzionale, sicché esso – da un lato – non deve comportare, contrariamente alle finalità che hanno animato il legislatore, un appesantimento dell’attività giurisdizionale ed un rallentamento del processo, mentre – dal’altro lato – nel darvi attuazione occorre tener conto della situazione contingente. Dove, pertanto, nel concreto contesto dell’Ufficio giudiziario, il calendario del processo rappresenterebbe un inutile ed irragionevole appesantimento dell’attività di programmazione del ruolo, lo stesso va apprestato limitatamente all’attività istruttoria già ammessa, ed ipotizzando che essa si compia effettivamente all’udienza fissata.

Calendario “Rigido”

La pronuncia catanzarese che si commenta, conferma il trend giurisprudenziale sino ad ora prevalente negli Uffici giudiziari di merito, con adesione alla tesi interpretativa che legge l’art. 81-bis disp. att. c.p.c. nel senso di potere discrezionale del giudice ma non obbligo (seppure, per come si dirà, discrezionale nei contenuti, non nell’an).

Come noto, con la Legge 18 giugno 2009 n. 69, all’art. 81-bis disp. att. c.p.c., il Legislatore ha introdotto il “calendario del processo”. Alla stregua del nuovo grimaldello normativo, il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie [1], sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. Tale incombente non si applica ai procedimenti sommari o con istruzione deformalizzata [2], pur non ignorando che sul punto altra giurisprudenza è di contrario avviso [3]. Viene, però, qui condivisa quella dottrina che, commentando il nuovo istituto, ha affermato che il calendario del processo costituisce un elemento di rigidità che stona con il carattere informale ed elastico del procedimento sommario.

In effetti, il calendario ex art. 81-bis cit. va effettivamente e correttamente inteso nella sua versione interpretativa “rigida” [4]. Fissando la calendarizzazione delle udienze, il giudice di merito prefigura alle parti il percorso procedimentale cui le stesse saranno sottoposte, consentendo loro di conoscere in via anticipata la durata del processo ma, soprattutto, mirando al precipuo scopo di garantire che tale durata sia ragionevole [5]. L’effetto finale, sul processo, è che gli eventi patologici del procedimento non vanno ad allungare la vita biologica del rito (poiché il calendario determina i segmenti temporali entro cui espletare ogni incombente) [6].

Ratio

La funzione del calendario è, quindi, quella di contribuire alla ragionevole durata del processo civile. Non si condivide, pertanto, l’opinione pur autorevolmente espressa in Dottrina, secondo la quale la fissazione del calendario del processo “non serve ad accelerare i tempi del processo, bensì solo a renderli prevedibili”. Tale interpretazione rischia di svilire il significato della norma, atteso che l’interesse della parte non è certo quello di poter prevedere razionalmente un processo di durata, però, irragionevole. Non è l’imprevedibilità della durata del procedimento a vulnerare il Giusto processo ma la sua eccessiva consistenza.

Potere o Dovere?

Il calendario del processo è obbligatorio? [7]

Nei primi commenti di Dottrina, l’art. 81-bis cit. viene individuato come una specificazione del generale potere di direzione del processo già attribuito al giudice dall’art. 175 c.p.c. La fissazione del calendario del processo – si afferma - è solo una possibile opzione del giudice nell’ambito del procedimento.

Secondo altri, che aderiscono ad una impostazione più radicale, il calendario sarebbe, invece, “un potere-dovere” del giudice [8].

Ad ogni modo, alcuni commentatori evidenziano che un presunto dovere del giudice di fissare il calendario del processo appare in realtà privo di sanzione sul piano della qualificabilità degli atti processuali, salvo, al più, il prefigurarsi di una responsabilità disciplinare del magistrato per l’omessa predisposizione del calendario del processo o la violazione ingiustificata delle sue indicazioni.

Come emerge da tali rilievi, il problema riguarda, dunque, la discrezionalità o obbligatorietà della fissazione del calendario del processo: il giudice catanzarese, propende la prima tesi che, però, opportuno qui segnalare, si pone, in realtà, in una posizione compromissoria, per come si andrà ad illustrare. Ad ogni modo, è sicuramente prevalente l’idea che l’art. 81-bis disp. att. c.p.c. sia sorretto da “discrezionalità”. L’adempimento de quo che si richiede al magistrato, infatti, deve inevitabilmente essere collocato nel contesto concreto dell’Ufficio in cui il giudice si trova a operare (e così fa il Tribunale di Catanzaro). Si vuol dire che il numero delle cause pendenti sul ruolo del giudice influenza in modo preponderante l'attività gestionale dei procedimenti cosicché, secondo una formula inversamente proporzionale, maggiori saranno le cause iscritte al ruolo - e che il giudice si trova a dover gestire - minore sarà la possibilità oggettiva di pianificare e programmare lo svolgimento delle singole udienze per ogni processo. Altrimenti detto: la minore “governabilità” del ruolo inevitabilmente comporta una maggiore esigenza di flessibilità e duttilità che fa iato con un elemento di programmazione quale il calendario, poiché intriso di inevitabile rigidità, come la dottrina, sino ad ora unanimemente, ha riconosciuto. Ed allora imponendo l'uso del calendario, nel senso di obbligare il giudice ad apporlo sempre e comunque, a prescindere dal contesto concreto in cui l'attività giurisdizionale è esercitata, si correrebbe il rischio di andare a pregiudicare proprio quelle esigenze di celerità e di organizzazione che la legge 69 del 2009 ha inteso tutelare.

 

Per altro verso, questa interpretazione potrebbe prestare il fianco a dubbi di costituzionalità: non è un caso che siano stati più giudici a porre in evidenza la circostanza (anche nell’ordinanza che si commenta, il giudice catanzarese lo segnala). Come ha insegnato la giurisprudenza costituzionale, infatti, una norma è in sé incostituzionale, poiché irragionevole, là dove tradisca, in modo insanabile, la ratio legis che ne ha giustificato la introduzione nel sistema normativo. E, allora, se il calendario del processo persegue la finalità, vuoi di consentire la prevedibilità dei tempi del processo, vuoi di contenere la durata del procedimento entro tempi ragionevoli, si darebbe luogo ad una aporia dichiararne l’obbligatorietà pur laddove la sua applicazione rigida ed obbligatoria in uno specifico contesto giudiziario porterebbe di fatto ad un risultato del tutto inverso e contrario [9].

Discrezionalità nei contenuti

Il Tribunale di Catanzaro, tuttavia, pur ripudiando l’idea di un calendario obbligatorio, ne fa formale applicazione, atteso che la soluzione prescelta è di tipo compromissorio: apposizione del calendario e, dunque, applicazione dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c., ma con libertà di scelta dei contenuti. Ed, infatti, nel caso di specie, il calendario viene ad essere riempito dei contenuti di una sola udienza istruttoria. Ma formalmente c’è.

La soluzione catanzarese conferma tutte le inadeguatezze dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c. che sembra tipizzato per un processo ideale (oggi nella prassi inesistente) in cui il giudice gestisce un carico esigibile di poche cause, con possibilità di organizzare il proprio lavoro addirittura pianificando la durata di ogni fascicolo. Situazione sconosciuta alla maggior parte degli uffici giudiziari italiani.

Ad ogni modo, gli sbocchi interpretativi possono essere meno radicali di quelli scelti dal giudice catanzarese. Le opzioni interpretative, infatti, potrebbero abbandonare l’idea di andare a forzare ermeneuticamente ciò che il Legislatore dice per dedicarsi a quegli spazi liberi all’interpretazione con riguardo a ciò che il Legislatore non dice.

Art. 81-bis disp. att. c.p.c. il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati.

In primis: nessuna norma esclude che il calendario possa essere su base annuale. Si vuol dire che il giudice potrebbe calendarizzare le udienze di anno in anno, tenuto conto del carico del ruolo che impedisce una pianificazione su scala diversa dall’anno.

In secundis: nessuna norma esclude che il calendario possa essere fissato per periodi in cui tenere le udienze, anziché in base a giorni. Ad esempio, calendarizzare una udienza di CTU non il 10 maggio 2011, ma nel mese di maggio 2011.

Quelli segnalati, sono tutti accorgimenti che possono consentire una migliore gestibilità del calendario il quale, tuttavia, pare destinato alla stessa sorte delle tante altre disposizioni che, in mancanza di mezzi, fondi e persone, difficilmente potranno mai trovare un serio respiro operativo.

Secondo i commentatori, la portata dell’articolo in esame è “limitata all’eventualità che debba svolgersi un’attività di assunzione probatoria”, atteso che l’istituto trae linfa direttamente dall’ordinanza ex art. 183, comma VII, c.p.c. e, dunque, in tanto è necessitato in quanto debba provvedersi alla istruzione della causa.

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[1] Secondo i commentatori, la portata dell’articolo in esame è “limitata all’eventualità che debba svolgersi un’attività di assunzione probatoria”, atteso che l’istituto trae linfa direttamente dall’ordinanza ex art. 183, comma VII, c.p.c. e, dunque, in tanto è necessitato in quanto debba provvedersi alla istruzione della causa.

[2] Trib. Varese, sez. I civile, ordinanza 18 novembre 2009 in Giur. Merito, 2010, 2, 406.

[3] Trib. Mondovì, ordinanza 5 novembre 2009 in Guida al Dir., 2009, 50.

[4] Per essere chiari. Ipotizzando siano state fissate due date - udienza il 3 maggio; ed udienza il 25 giugno – se l’udienza del 3 maggio non dovesse essere celebrata per un motivo qualsiasi, il giudice sarebbe tenuto a fissare per il medesimo incombente una data anteriore al 25 giugno e non anche a modificare l’intero calendario.

[5] La Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. in particolare le pronunce sul ricorso n. 62361/00, proposto da Pizzati c. Italia e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Z. c. Italia), ai cui principi il giudice nazionale deve uniformarsi nella determinazione della durata ragionevole del procedimento, ha in linea di massima stimato tale durata in anni tre (3) per quanto riguarda il giudizio di primo grado ed in anni due (2) per quanto riguarda il giudizio di secondo grado (cfr. Cassazione civile, sez. I, 3 aprile 2008 , n. 8521). In nessun caso, pertanto, può essere concessa proroga ove i suddetti termini vengano disattesi.

[6] In tal senso si deve discorrere di “calendario rigido”: il giudice fissa dei “paletti” procedimentali che devono avere la precipua funzione di contenere la tempistica del rito nel senso che là dove salti un incombente, per un qualsiasi motivo, non si assiste ad un effetto domino (vengono modificate tutte le altre date di udienza) ma ad un effetto programmatico. Il giudicante, “saltata” una udienza, dovrà rifissare l’incombente in data anteriore a quella che segue nel calendario.

[7] Per la discrezionalità: Trib. Varese, sez. I civile, ordinanza 15 aprile 2010.

[8] Cfr. Trib. Mondovì, ordinanza 4 maggio 2010 (est Demarchi): la giurisprudenza qui citata, sembra applicare il calendario con implicita adesione alla tesi che ne disconosce la discrezionalità, ma lo qualifica come incombente dovuto

[9] Cfr. nota 7. Si pensi al consumo di tempo ed attività che si richiederebbe al giudice chiamato a gestire un ruolo di migliaia di cause per pianificare per ognuna di esse, man mano che sono in rotazione, un calendario di tempi ed udienze, “sentiti i difensori”. È chiaro che la stessa ordinanza ex articolo 183, comma VII, c.p.c. rischierebbe di dover essere emanata solo successivamente ad una difficile attività di programmazione e dunque con ulteriori ritardi nell'eventuale scioglimento delle riserve. Per non parlare dell'inevitabile prevenzione che andrebbe ad innescarsi nei giudici con Ruolo particolarmente gravoso: se è vero che il calendario (obbligatorio) va rispettato anche a rischio di rilievi disciplinari, allora il magistrato sarebbe indotto, “in prevenzione”, a pianificare tempi più lunghi proprio per evitare di dovere incorrere in continue proroghe e rinvii determinati, come gli operatori del diritto ben sanno, dalla oggettiva grande difficoltà che si ricollega all'attività gestionale di un ventaglio di cause ben superiore a carichi esigibili. Vi è ancora ed infine che l’obbligatorietà del calendario non consentirebbe neanche ciò che può apparire più razionale e ragionevole ovvero scegliere i processi in cui adottare una calendarizzazione, tenuto conto di eventuali urgenze o dei temi oggetto del contendere o ancora della natura giudica dei diritti coinvolti.

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FONTE: ALTALEX del 08.07.2010.

AUTORE: Dr. Giuseppe Buffone (magistrato).