IL RECESSO: DA ECCEZIONE A REGOLA ?

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  1. In generale
  2. Il recesso nei singoli contratti
  3. La ratio sottesa alle diverse previsioni
  4. Le limitazioni al diritto di recesso
  5. La peculiarità del diritto di recesso nel diritto dei consumatori
  6. I costi conseguenti all’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore
  7. Conclusioni

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1. In generale

Secondo l’art. 1373 c.c.: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione”.

Trattasi, dunque, di un diritto potestativo di risolvere, eccezionalmente, dall’interno, ex uno latere, il contratto (Cass. 2759/84). L’avverbio “eccezionalmente” conferma la previsione di cui all’art. 1372 c.c.: “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.

Pertanto, attesa la vincolatività dell’accordo contrattuale, a parere della giurisprudenza, il recesso è possibile solo se il relativo potere è stato attribuito in sede di contratto con fissazione di un termine (Cass. 7579/83).

L’art. 1386 c.c., oltre a richiedere che il recesso sia previsto contrattualmente, dispone quanto segue: “1. Se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso. 2. In questo caso, il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta”.

Ciò per quanto concerne la disciplina generale del recesso che, come già precisato, sancisce l’eccezionalità della figura de qua, ribadendo così il principio pandettistico pacta sunt servanda.

Con riguardo ai singoli contratti, però, esistono numerose previsioni legislative che, per ragioni diverse, concedono (ad uno soltanto o ad entrambi i contraenti) il diritto di recesso, ovvero limitano tale diritto o, ancora, lo configurano in maniera peculiare.

 

2. Il recesso dai singoli contratti

Tralasciando l’esame del diritto di recesso nei contratti cc.dd. associativi (stabilito in favore dell’associato - art. 24 c.c. -, del socio - artt. 2285, 2289-2290, 2307, 2437, 2480, 2530, 2532, 2535, 2536 c.c. - e del consorziato - art. 2609 c.c.-), le norme che interessano sono le seguenti:

 

3. La ratio sottesa alle diverse previsioni

Dalla lettura delle citate norme, si può notare che il diritto di recesso in esse stabilito è previsto per ragioni diverse, a seconda del tipo di contratto concluso.

Si evidenzia, in primo luogo, l’avversione del legislatore nei confronti della permanenza sine die dei vincoli obbligatori. Da ciò discendono le previsioni di cui agli artt. 1569, 1616, 1750 (2° co.), 1833 e 2118 c.c..

Peraltro, la giurisprudenza ha generalizzato il principio sotteso alle norme de quibus e, ricollegando la possibilità di recesso all’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede, ha affermato che, data la necessaria temporaneità dei vincoli contrattuali, è sempre possibile ex art. 1375 c.c. recedere, con preavviso, da un contratto a tempo indeterminato (Cass. 3296, 02).

Ulteriore ragione fondante di alcune previsioni sembrerebbe, a parere della sottoscritta, la tutela della permanenza dell’interesse dei contraenti a seguito di sopravvenute modifiche soggettive del contratto.

Ci si riferisce agli artt. 1614 e 1819, 3° co., c.c. che, in tema, rispettivamente, di locazione e assicurazione, conferiscono la possibilità di recedere dal contratto agli eredi dell’inquilino e all’acquirente del bene assicurato.

La tutela dell’interesse delle parti è prevista anche nel caso di modifiche oggettive delle condizioni contrattuali conosciute successivamente alla stipula del contratto e si estrinseca (appunto) con la previsione del diritto di recesso: si vedano, a tale proposito, gli artt. 1537, 1538, 1893, 1897, 1895 c.c., 90, 3° co., Cod. Consumo e 172, Cod. Assicurazioni.

Per spiegare le disposizioni summenzionate si potrebbe far riferimento anche alla necessità di proteggere l’equilibrio del sinallagma contrattuale (ovvero la proporzione tra le prestazioni nei contratti c.d. a prestazioni corrispettive). In altre parole, la possibilità di recedere, conferita ad una parte nelle citate previsioni, è giustificata da modificazioni oggettive che renderebbero sproporzionate le prestazioni cui si sono obbligati i contraenti.

Inoltre, fondamento di alcune delle summenzionate disposizioni è l’esistenza di una giusta causa che legittimi lo scioglimento del contratto ad opera della volontà, debitamente manifestata, da un solo contraente. Si pensi alle norme sulla locazione (artt. 1612, 1613, 1845 c.c. 3 L. 431/98 e 27 L. 392/78) e all’art. 1, L. 604/66, norma, quest’ultima, che rende possibile il licenziamento del lavoratore con contratto a tempo indeterminato solo nel caso di giusta causa o giustificato motivo.

E ancora. Gran parte delle norme sopra elencate è stata emanata per tutelare le cc.dd. parti deboli, ovvero quei contraenti che, per ragioni diverse, si trovano in una posizione di inferiorità rispetto alla controparte negoziale. Si tratta, ad esempio, del consumatore, dell’utente, dell’assicurato, i quali, il più delle volte, si trovano davanti contratti per adesione, le cui previsioni possono essere solo accettate o rifiutate in blocco, senza la possibilità di una trattativa (v. artt. 64, 73, 67 duodecies, 3° co. Cod. Consumo, 1 L. 40/07, 118, 2° CO. T.U.B., 125, 2° CO., T.U.F., 1899 c.c., art. 177 Cod. Assicurazioni). Ma di questa tipologia di recesso ce ne occuperemo più avanti, stante la peculiarità che lo contraddistingue.

Infine, appare opportuno accennare alla ratio sottesa agli artt. 1671, 2227 e 2237 c.c., norme che permettono, al committente (e, nel caso dell’art. 2237 c.c., anche al prestatore d’opera) di recedere dal contratto. A parere di chi scrive, in tali casi, la possibilità di sciogliere unilateralmente il contratto deriva dalla natura della fattispecie negoziale: si tratta, infatti, di contratti c.d. intuitus personae, ossia accordi in cui la persona del contraente rileva sotto il profilo delle qualità personali. Con riguardo, in particolare, all’art. 1671 c.c., il Tribunale di Roma ha riconosciuto espressamente che “La caratteristica soggettiva del contraente appaltatore consente al committente di esercitare il diritto di recesso in qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto, alla stregua dell’intervenuta sfiducia nei confronti dell’appaltatore” (Trib. Roma, 19/07/01, Corr. Giur. Roma, 2002).

 

4. Le limitazioni al diritto di recesso

In taluni casi, il diritto potestativo di recesso, anche se previsto contrattualmente, non può essere esercitato da uno dei contraenti.

Si veda, a tal proposito, l’art. 125, 2° co., T.U.B., il quale prevede che la facoltà di recesso dal contratto di credito al consumo possa essere esercitata solo dal consumatore.

E, in generale, molte delle norme che sanciscono il diritto di recesso del consumatore non si applicano alla controparte negoziale: ciò in tema di contratti stipulati fuori dai locali commerciali e a distanza, di multiproprietà, di somministrazione di servizi di telefonia, etc..

In altri casi, invece, la legge prevede che una parte possa recedere dal contratto, ma solo nelle ipotesi stabilite.

Si pensi, ad esempio, al locatario, al datore di lavoro e al prestatore d’opera intellettuale.

Altra limitazione è imposta alla banca dall’art. 1845 c.c. in relazione al recesso dal contratto di apertura di credito.

Si ricordi, infine, che l’art. 33, lett. g), Cod. Consumo, per evitare sperequazioni tra le parti contraenti, pone una limitazione alla possibilità di recesso, stabilendo che, nel contratto stipulato tra professionista e consumatore, si presumano vessatorie (e, quindi, inefficaci) fino a prova contraria le clausole che hanno per effetto di “riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto…”.

 

5. La peculiarità del diritto di recesso nel diritto dei consumatori

Probabilmente, si è già intuita la particolarità della figura del recesso nel campo del diritto dei consumatori.

Invero, nei casi previsti dagli artt. 64 , 73, 67 duodecies Cod. Consumo, art. 1, L. 40/07 e 125 T.U.B., il legislatore ha previsto che il consumatore possa sciogliere unilateralmente il negozio anche se tale diritto non sia previsto dal contratto. Inoltre, egli non deve esplicitare la causa del recesso. Infine, il recesso sarà valido anche se il contratto abbia avuto un principio di esecuzione. Ciò in deroga a quanto esplicitamente previsto dall’art. 1373 c.c..

Si ribadisce che il motivo di tale, diversa disciplina risiede nell’esigenza di tutelare il consumatore, quale parte debole del rapporto o, in altre parole, “il fondamento teleologico che accomuna le diverse ipotesi di ripensamento si rinviene nell’esigenza di contemperare le esigenze di celerità e sicurezza degli scambi con la libertà contrattuale in senso stretto del consumatore” (Cuffaro, Codice del Consumo, 2008, 331).

In conseguenza delle suddette peculiarità, si parla, in queste ipotesi, non di diritto di recesso, bensì di ius poenitendi.

Tale figura ricorre anche nelle ipotesi di cui agli artt. 1899 c.c., 177 Cod. Assicurazioni e 118 T.U.B..

La ricostruzione dello ius poenitendi ha impegnato la migliore dottrina: secondo alcuni, l’esercizio del diritto di recesso è configurabile come mancata accettazione di un contratto di opzione; altri qualificano il recesso come condizione risolutiva o mancato avveramento di quella sospensiva (opinione che sembrerebbe confermata dalla lettera dell’art. 30, 6° co., T.U.F.).

Altri autori hanno dato peso all’elemento “sorpresa” (ricorrente soprattutto in tema di contratti stipulati fuori dai locali commerciali), qualificandolo come vizio del consenso: la dichiarazione di pentimento sarebbe un atto che osta al formarsi di un silenzio, il quale avrebbe la virtù di far apparire ponderata (e quindi capace) la dichiarazione.

 

6. I costi conseguenti all’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore

Le deroghe previste dal diritto dei consumatori al principio della perentorietà del contratto ex art. 1372 c.c. non possono e non vogliono togliere completamente valore alla citata norma. Ne consegue che se è giusto che il consumatore, in taluni casi, abbia la possibilità di svincolarsi dal rapporto contrattuale, altrettanto giusto è evitare un pregiudizio all’altra parte.

Ed invero, in tema di contratti a distanza e di quelli stipulati fuori dai locali commerciali, l’art. 67, 3°co. Cod. Consumo dispone che “Le sole spese dovute dal consumatore per l’esercizio del diritto di recesso a norma del presente articolo sono le spese dirette di restituzione del bene al mittente, ove espressamente previsto dal contratto”.

Ciò in quanto la consegna del bene è avvenuta in esecuzione di un contratto.

Tuttavia, a parere di chi scrive, tale norma non si applicherà qualora la spedizione del bene sia avvenuta dopo la ricezione, da parte del venditore, della comunicazione di recesso inviatagli dal consumatore. Tale assunto troverebbe conferma nell’art. 57 Cod. Consumo, secondo il quale “Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta”.

Nel caso della multiproprietà, invece, l’acquirente che abbia receduto “deve rimborsare al venditore solo le spese sostenute e documentate per la conclusione del contratto e di cui è fatta menzione nello stesso, purchè si tratti di spese relative ad atti da espletare tassativamente prima dello scadere del periodo di recesso” (art. 73, 2° co., Cod. Consumo).

L’art. 67 terdecies, 1° e 2° co., Cod. Consumo, poi, prevede nel caso di commercializzazione a distanza di servizi finanziari che il consumatore recedente paghi “solo l’importo del servizio finanziario effettivamente prestato dal fornitore…” e che, comunque, esso non potrà:“a) eccedere un importo proporzionale all’importanza del servizio già fornito in rapporto a tutte le prestazioni previste dal contratto a distanza; b) essere di entità tale da poter costituire una penale”.

Quanto ai servizi di telefonia, televisivi e Internet, si desume dal già citato art. 1, L. 40/07 che l’utente recedente sarà tenuto a corrispondere all’operatore solo le spese che quest’ultimo abbia giustificato adeguatamente. Si tenga presente che, nel caso in cui l’utente receda dal contratto per trasferire l’utenza presso un altro operatore telefonico, egli non sarà tenuto a pagare alcunché: le linee guida dell’Agcom prevedono, infatti, che tali spese vengano sostenute non già dal consumatore ma dal nuovo operatore.

Infine, la seconda parte dell’art. 125, 2° co., T.U.B. stabilisce che “Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto ad un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR”.

Pur non riferendosi tale norma al recesso, si è ipotizzato che l’adempimento anticipato equivalga al recesso, salvo per quanto attiene i finanziamenti erogati sotto forma di dilazione di pagamento e di leasing (Cuffaro, Codice del Consumo, 2008, 808). Pertanto, atteso che il CICR non è ancora intervenuto sul punto, nel caso di recesso, si applicherà quanto previsto dall’art. 3, 1° co., del decreto del Ministro del Tesoro dell’8 luglio 1992, a mente del quale la facoltà di recesso “si esercita mediante versamento al creditore del capitale residuo, degli interessi ed altri oneri maturati fino a quel momento e, se previsto dal contratto, di un compenso non superiore all’uno per cento del capitale residuo”.

 

7. Conclusioni

Dopo aver esaminato sommariamente le diverse ipotesi di recesso previste dal legislatore, si può finalmente rispondere al quesito iniziale: il recesso è ancora un modo eccezionale di scioglimento del rapporto contrattuale? Ebbene, sì.

Nonostante le numerose disposizioni normative facciano pensare altrimenti, la regola resta quella stabilita dall’art. 1372 c.c.. Ferma restando l’eccezione già enunciata all’inizio: si può sempre recedere dai contratti a tempo indeterminato, fornendo però un congruo preavviso.

Vero è che, negli ultimi tempi, il legislatore ha utilizzato copiosamente l’istituto del recesso allo scopo di tutelare la parte debole del contratto. Questo, al fine di liberare il consumatore (o l’utente, o l’assicurato, etc.) da vincoli contrattuali sorti senza che il contraente stesso ne avesse coscienza, ovvero si rendesse conto di quale prodotto o servizio gli veniva offerto.

Tuttavia, nella generalità dei casi, si può affermare che il contratto, una volta stipulato, resta (anche per il consumatore) “legge” da rispettare. Invero, il recesso è sì esercitabile ad nutum dal consumatore, ma solo mediante forme tipizzate ed entro termini di decadenza piuttosto brevi, decorsi i quali, il regolamento negoziale vincola le partila pari di qualsiasi altro contratto.

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FONTE: ALTALEX del 20.07.2009.

AUTORE: Avv. Costanza Martino