Cass. civ., Sez. III, 10 maggio 2001, n. 6507

Ove il fatto illegittimo abbia dato luogo ad una lesione della reputazione personale (intesa come reputazione che il soggetto gode come persona umana, tra gli altri consociati; altrimenti detta, più propriamente onore e prestigio), la quale va valutata "in abstracto", cioè con riferimento al contenuto della reputazione quale si è formata nella comune coscienza sociale di un determinato momento e non "quam suis", e cioè alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione (amor proprio), una volta provata detta lesione, il danno è "in re ipsa", in quanto si realizza una perdita di tipo analogo a quella indicata dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore (per quanto non patrimoniale) della persona umana alla quale il risarcimento deve essere commisurato (Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372). Varia pertanto l'estensione degli oneri probatori a seconda che si versi in ipotesi di lesione di reputazione personale o di reputazione professionale, ma, in entrambi i casi, non è sufficiente la prova del "fatto altrui" (dichiarazione non veritiera o offensiva) per ritenersi provato anche l'evento lesivo subito dal danneggiato.

 

FONTE: Nuova Giur. Civ., 2002, I, 529, con nota di ZACCARIA.